La gnatologia è la scienza che si occupa dell’apparato masticatorio, sistema estremamente complesso costituito da tre componenti fondamentali:
1) le articolazioni temporo-mandibolari (ATM);
2) il Sistema Neuro-muscolare;
3) l’apparato Dento-Parodontale.
Se la gnatologia è tutto ciò allora possiamo dire che l’odontoiatria è gnatologia e che non dovrebbe esistere il ruolo di gnatologo ma ogni odontoiatra deve operare con finalità gnatologiche.
Nell’accezione più comune il gnatologo è colui che si occupa di problematiche dell’ATM ovvero limitatamente delle disfunzioni dell’occlusione e dei disordini temporomandibolari. Essendo l’apparato masticatorio estremamente complesso è altresì elevata la possibilità che una delle sue componenti subisca un danno e che la risoluzione di tale danno sia complicata quanto il sistema stesso. Fortunatamente però l’organismo umano è dotato di forti potenzialità di adattamento per cui molto spesso riesce ad operare “compensazioni” tanto efficaci da escludere interventi esterni. Quando il danno supera le capacità di adattamento allora subentra la patologia (mioartropatia) che nel caso dell’ATM può manifestarsi inizialmente solo con “rumori” articolari o con forme algiche più o meno severe a volte accompagnate da limitazioni funzionali.
MIOARTROPATIA
La mioartropatia è un disturbo del sistema masticatorio che può avere origine nella muscolatura o nell’ATM (articolazione temporo-mandibolare, ovvero la sola articolazione mobile del cranio che consente i movimenti mandibolari e la funzionalità masticatoria).
In alcuni casi può essere presente già in soggetti molto giovani, ma la distribuzione tipica è la fascia di età adulta (ed in particolare in donne in età fertile) per poi diminuire dopo i 50 anni.
Si manifesta in circa il 40% della popolazione adulta con blandi segni disfunzionali, mentre il 30% dei pazienti riferisce veri e propri sintomi. L’incidenza del dolore è molto bassa (massimo 4 %) e praticamente nulla l’incidenza di un dolore resistente.
La genesi è multifattoriale. Si possono distinguere fattori predisponenti (sistemici, strutturali e psicoemotivi), fattori scatenanti (micro e macro traumi e sovraccarichi) e fattori perpetuanti (generalmente di tipo psicoemotivo)
La diagnosi è di tipo clinico e si fa ricercando i 3 sintomi guida:
1) dolore e/o rumore all’ATM;
2) dolore e o affaticamento muscolare durante la funzione;
3) limitazione della mobilità mandibolare e/o asimmetria dei movimenti.
Questi sintomi sono necessari, ma non patognomonici. Ciò significa che una volta verificato che ci sono, possiamo pensare che si tratti di una MAP ma per esserne certi occorre fare diagnosi differenziale e escludere altre patologie.
Possiamo avere sintomi accompagnatori (di nessuna rilevanza ai fini diagnostici) di cui il più frequente è la cefalea, talora dolori facciali, cervicali, sintomi auricolari o disfagia.
Il trattamento è necessario solo nel 3-9 % dei pazienti sintomatici. Rilevare dei segni di mioartropatia non deve assolutamente coincidere con l’avvio di una terapia meccanica, ma impone allo specialista l’obbligo di seguire un progressivo iter terapeutico:
Informazione e autocontrollo: l’informazione è un dovere del medico e può avere un forte effetto terapeutico in particolare in pazienti con dolori facciali con un alto livello di ansia conseguente alla mancanza di una diagnosi certa. Occorre rassicurarli sulla bontà della prognosi e sulla non gravità della patologia. Ove, con l’anamnesi, siano emerse abitudini viziate occorre motivare il paziente all’autocontrollo e all’autotrattamento attraverso i quali, con esercizi e modalità fisioterapiche, il paziente viene coinvolto e diventa corresponsabile della sua guarigione.
-Terapia cognitivo-comportamentale e di rilassamento, termoterapia, massaggi, tecniche di induzione ipnotica e training autogeno sono fondamentali nel controllo a lungo termine della sintomatologia.
-Terapia farmacologoca: necessaria in fase acuta con farmaci analgesici , miorilassanti
o benzodiazepine.
Il paziente deve lasciare lo studio convinto della bontà della prognosi e della non gravità della patologia.
A cura della Dott.ssa Mariarosa Armandi